Ponti sicuri, le tecnologie per il monitoraggio in tempo reale


L’invecchiamento di ponti e viadotti e la scarsa manutenzione non riguardano solo l’Italia.
L’aggravante, nel nostro paese, è la mancanza di prevenzione e l’assenza di progetti per l’impiego di sistemi ICT (dai sensori ai microprocessori) sia in fase di progettazione che come supplemento di sicurezza. Vediamo come rimediare



C'è un argomento del tutto assente dal convulso dibattito che è seguito alla tragedia del ponte Morandi di Genova: la prevenzione.

Opere pubbliche e ICT, uno scenario desolante

La verità è che quello delle opere pubbliche (strade, edifici e ogni altro tipo di infrastrutture civili edili, direttamente o indirettamente nella disponibilità della mano pubblica) è uno dei settori più arretrati nell’introduzione di strumenti ICT (Information and Communication Technology) che potrebbero fare la differenza sia in fase di progettazione che adattati alle esigenze di infrastrutture esistenti. L’esempio dell’assenza di un catasto informatico, completo ed efficiente, è solo la punta dell’iceberg.

Un altro aspetto riguarda l’impossibilità di monitoraggio completo del patrimonio infrastrutturale sulla base di tecniche, oggi largamente disponibili e già impiegate in molti altri settori, adatte a fornire una sorveglianza continua e una conoscenza storica certificata degli impianti a rischio.

Infrastrutture a rischio, non è un problema solo italiano

Si parla molto di manutenzione delle opere di ingegneria e sembra, fortunatamente, crescere nell’opinione pubblica anche la consapevolezza della necessità di ripartire con lo sviluppo di nuove infrastrutture viarie che rappresentino l’alternativa ad alcune di quelle esistenti obsolete per invecchiamento o inadatte alla moltiplicazione dei livelli di traffico. Tutto questo però si scontra comunque con le difficoltà della finanza pubblica che inevitabilmente rallenteranno ogni decisione di nuovi interventi, ordinari o straordinari.

Partiamo dall’inizio: in Italia quanti sono i ponti e i viadotti della rete viaria nazionale? Autostrade per l’Italia informa che sulla sua rete, che si estende per 2854 chilometri, ne sono presenti 1800. Ma poi ci si perde nelle frastagliate competenze di Anas, Regioni, Province, Comuni e Aiscat. Quantunque previsto dalle norme, non è funzionante un catasto delle strade e, quindi, neppure si conosce il numero di ponti, viadotti e gallerie. Di conseguenza non è possibile sapere neppure quante di queste infrastrutture hanno raggiunto livelli preoccupanti di degrado. Secondo gli esperti in Italia i ponti sarebbero circa un milione e mezzo: “ma se calcoliamo le campate di ciascun ponte, come è corretto fare, arriviamo a tre o quattro milioni di strutture. Quanti sono quelli sotto monitoraggio? Sessantamila. Di quelli sappiamo tutto, degli altri quasi nulla.”

L’invecchiamento di ponti e viadotti e l’insufficienza dei mezzi finanziari per la manutenzione non sono fenomeni soltanto italiani. Tutti i Paesi avanzati si pongono il problema da almeno un decennio, nella consapevolezza che l’onere completo e generalizzato dell’intervento umano può essere insostenibile. Il rapido deterioramento dello stato di conservazione di molte infrastrutture pubbliche, specie ponti e viadotti, si spiega in quanto gran parte di esse è stata realizzata nella ricostruzione postbellica e ha ormai raggiunto un tempo di servizio fra 50 e 60 anni che per il calcestruzzo armato, è spesso prossimo al fine vita.

Sostenibilità della manutenzione e esperienze internazionali

Si diceva che il problema di assicurare una manutenzione estensiva e continua è tutt’altro che una difficoltà solo italiana. Solo per fare un esempio, nel triennio 2006-2008 in Germania sono stati investiti circa 350 milioni di euro all’anno per le attività di manutenzione delle infrastrutture di ingegneria, ma l’importo equivale solo a circa il 50% di quanto sarebbe stato richiesto in base alla previsione dei piani federali. Consapevole di questo, l’Istituto di ricerca federale sulle autostrade (Bundesanstalt für Straßenwesen – BASt) insieme al Ministero dei trasporti e dell’infrastruttura digitale (BMVI) hanno lanciato fin dal 2011 il programma di ricerca “Intelligente Brücken” (Ponti intelligenti), che mira all’impiego delle tecnologie dell’informazione in tempo reale come supplemento alle ispezioni di ponti e viadotti.

Sono diversi i Paesi occidentali che hanno avviato progetti analoghi. L’amministrazione degli Stati Uniti ha in corso un programma di ricerca intensivo a lungo termine al fine di ridurre il costo stimato di manutenzione di 7 miliardi di dollari all’anno per 20 anni. Oltre a USA e Germania, in Europa si può citare anche la Spagna.

Purtroppo, non risulta nulla del genere in Italia. A volte si fa riferimento al piano “Smart road”, avviato da Anas nel 2016, che riguarda oltre 2.500 km di strade e autostrade su tutto il territorio nazionale con l’obiettivo di garantire maggiore sicurezza, fluidità del traffico e comfort di guida, mirando a contribuire alla guida connessa e autonoma del futuro. Si tratta tuttavia di un interessante piano di infomobilità solo marginalmente utile, quando sarà implementato, per la sorveglianza automatica dello stato delle infrastrutture che, viceversa, richiede interventi ad hoc.

I problemi delle infrastrutture civili edili

Per lunghi decenni, da Le Corbusier in poi, si è ritenuto che il calcestruzzo armato, frutto del genio umano, fosse praticamente eterno. Con il passare degli anni, invece, sono emersi i limiti di questo materiale, di cui con la tragedia di Genova si è acquisita una sorta di consapevolezza collettiva. I difetti sono ormai noti agli esperti, ma solo da pochi anni nelle norme sono state introdotte modalità di calcolo e realizzazione delle strutture finalizzate a migliorarne la durabilità.

La durabilità è influenzata da numerosi fattori, interni ed esterni, che sono comunemente classificati come chimici, fisici e meccanici. Difficilmente in un processo di degradazione esiste un solo fenomeno aggressivo: spesso più cause concorrono al deterioramento del materiale esaltandosi a vicenda. Tuttavia esiste sempre quella che può essere definita la causa fondamentale.

Le più comuni cause di degrado dipendono dalla porosità e dalla permeabilità del calcestruzzo armato che permettono agli agenti aggressivi di penetrare all’interno del conglomerato.

Tra quelle chimiche, il fenomeno più frequente (e si ritiene anche il più significativo in termini generali) che porta al deterioramento del materiale è il cosiddetto processo di carbonatazione. Esso è un processo chimico, naturale o artificiale, per cui una sostanza, in presenza di anidride carbonica (esistente nell’atmosfera), dà luogo alla formazione di carbonati. Tale fenomeno è frequente nei materiali edili come i leganti (cemento, calce, etc.) dove l’idrossido di calcio, naturalmente presente in essi, reagisce con l’anidride carbonica con conseguente formazione di carbonato di calcio. In realtà questo fenomeno non è pericoloso per il calcestruzzo non armato, poiché non provoca danni di tipo meccanico e chimico; anzi riduce la porosità del conglomerato e può portare ad un aumento della resistenza meccanica; né danneggia direttamente i ferri di armatura del calcestruzzo armato; tuttavia, in questo caso, la carbonatazione crea le condizioni favorevoli all’innesco dell’ossidazione dell’acciaio con conseguente pregiudizio per la struttura.

Quando l’acciaio si ossida aumenta mediamente di cinque volte il proprio volume. Questo aumento di volume crea fortissime pressioni laterali che tendono a lesionare il cemento e, con un processo degenerativo, ad espellere il copriferro esponendo sempre di più le armature agli attacchi ambientali che si ossidano rapidamente comportando la diminuzione della sezione resistente e quindi compromettono la struttura stessa.

Questo è il grosso inconveniente dell’acciaio collocato nel calcestruzzo che rende quest’ultimo armato.

Nelle opere di consolidamento, specie per beni di valore storico, si utilizza acciaio inox (con un costo maggiore di quattro volte circa rispetto all’acciaio ordinario) che ha un aumento di volume ridotto ma che è comunque soggetto al fenomeno dell’ossidazione. La profondità di carbonatazione può essere determinata con esame visivo dell’elemento unitamente a vari test di natura chimica. L’utilizzo dei dati acquisiti, attraverso l’applicazione di leggi e formule matematiche può consentire di stimare la vita utile (teorica) di una struttura in calcestruzzo armato.

Tra le cause fisiche si ricordano le variazioni termiche naturali (gelo e disgelo), artificiali (incendi), ritiro da essiccamenti. Tra quelle meccaniche: urto, scoppio, erosione, abrasione, sisma, vibrazioni, assestamenti strutturali, carichi non previsti.

Il dato sulla reale durabilità del calcestruzzo è quello rilevabile, certamente, dalle conoscenze scientifiche a cui si faceva cenno sopra, ma ancor di più attraverso la constatazione dello stato in cui si trovano le opere realizzate. Ciò che si rileva, in termini macroscopici, è che dopo 50-60 anni, ponti, viadotti, autostrade, opere infrastrutturali, e quasi sempre strategiche, presentino i segni tangibili di un degrado che pare inarrestabile nonostante interventi di faticosa, quanto costosa, manutenzione.

Durabilità e sicurezza delle infrastrutture

La durabilità di un materiale è la capacità di durare nel tempo resistendo alle azioni aggressive dell’ambiente in cui si trova. In linea di massima, per un calcestruzzo di buona qualità, in assenza di aggressioni, le proprietà del materiale dovrebbero migliorare, sia pure lentamente, a causa del continuo processo di reazione tra l’acqua e il cemento.

La durabilità di una struttura in calcestruzzo, o in calcestruzzo armato normale o precompresso, è la capacità di durare per l’intero periodo di vita atteso, garantendo il servizio per il quale la struttura stessa è stata progettata.

La durabilità testé enunciata presuppone condizioni ottimali della realizzazione dell’impasto del calcestruzzo (equilibrio tra gli inerti, giusta dose e tipologia della classe di cemento, adeguatezza dell’acqua, condizioni atmosferiche ideali, acciaio non già ossidato nella fase precedente il getto, etc.). Tali condizioni, purtroppo, non ricorrono quasi mai e la conseguenza è, di fatto, un calcestruzzo armato che lavora in modo depotenziato! Ne discende che la durabilità, e quindi una migliore resistenza nel tempo, è strettamente correlata ad azioni preventive di controllo il più possibile aderenti a quanto teoricamente necessario.

In sostanza ciò che bisognerebbe praticare è una corretta prevenzione.

Ma tale concetto in Italia è sempre difficile da far comprendere a tutti i livelli dei soggetti deputati all’attuazione.

Ciò è dimostrato dal fatto che la legislazione del nostro Paese (Legge n. 1086/1971) ha solo recentemente introdotto alcuni principi legati alla durabilità del calcestruzzo armato, comunque rimandando alla sensibilità e discrezionalità del progettista corroborata recentemente dall’ultimo aggiornamento con la Circolare NTC 2018.[1]

Ma la progettazione di una moderna opera, soprattutto se pubblica e strategica, non si può limitare alle caratteristiche meccaniche conseguite dai materiali nella struttura, ma deve anche possedere requisiti di durabilità in relazione all’ambiente cui è esposta nella sua vita in servizio.

L’attività di prevenzione di un’opera inizia in sede di progetto dell’opera stessa, nel momento della concezione e del calcolo strutturale, del disegno dei suoi particolari costruttivi, della scelta dei materiali da utilizzare e delle loro proporzioni ottimali. Si sviluppa, poi, nella fase della sua realizzazione con la preparazione, la messa in opera, la costipazione e la maturazione del calcestruzzo. Continua, infine, per tutta la vita di servizio con il monitoraggio e gli interventi programmati di ispezione e manutenzione.

I metodi preventivi che possono essere applicati, affinché il fenomeno, più grave, della corrosione sia ritardato, riguardano sostanzialmente due aspetti fondamentali:

una progettazione architettonica che eviti, soprattutto, ristagno e penetrazione di acque meteoriche;
la scelta di materiali adeguati alla classe di esposizione ambientale e del micro clima dell’elemento strutturale considerato. È possibile, in aggiunta, applicare metodi di protezione durante la vita di servizio della struttura.
Si richiamano, in questa sede, alcune regole pratiche:

la tipologia dell’opera consenta l’accessibilità, l’ispezione e la facile manutenzione delle strutture portanti;
lo schema strutturale sia tale da limitare al minimo gli sforzi di trazione nel calcestruzzo, che favoriscono l’innesco della fessurazione per sforzo di trazione e la conseguente penetrazione degli agenti aggressivi, in maniera più veloce;
il progetto dei dettagli costruttivi debba, con riferimento anche a quelle che saranno le modalità esecutive, evitare geometrie complesse, spigoli vivi, addensamenti di armature; in merito occorre ricordare, ad esempio, che giunti di dilatazione, appoggi e ogni zona di possibile ristagno d’acqua costituiscono punti di discontinuità della struttura e, pertanto, punti di infiltrazione di agenti aggressivi e ossigeno;
definire la classe di esposizione ambientale dell’opera e, di conseguenza, definire, in particolare, classe di resistenza del calcestruzzo, contenuto minimo di cemento, rapporto acqua/cemento e spessore del copriferro.
In sede di messa in opera occorre adottare tutte le precauzioni necessarie affinché: l’impasto del calcestruzzo non subisca modificazioni durante il trasporto o, comunque, prima della messa in opera;
il getto non subisca segregazione o cattivo costipamento durante la posa in opera;
la vibrazione del calcestruzzo porti alla massima compattazione possibile;
gli effettivi spessori di copriferro corrispondano a quelli di progetto (eseguito secondo le direttive delle normative vigenti);
le condizioni di temperatura e di umidità siano mantenute ottimali per un periodo sufficientemente lungo, al fine di consentire una corretta idratazione del cemento e, quindi, una corretta maturazione del calcestruzzo.
Tali accorgimenti progettuali non sono la soluzione definitiva al problema ma danno a essa un contributo significativo, diminuendo i punti di penetrazione degli agenti aggressivi, ritardando, quindi, di fatto, le fasi di innesco e propagazione del fenomeno corrosivo.

Come migliorare la sicurezza attraverso la prevenzione?

Oggi gli interventi di manutenzione sulle infrastrutture si basano principalmente sulla rivelazione di danni esistenti, emersi nel corso di ispezioni visive lungo un prefissato intervallo di tempo (alcuni anni).

Le crepe sono spesso la minaccia più comune alla sicurezza dei ponti. È stato riscontrato che 0,3 mm di spessore è il massimo consentito senza che l’integrità del ponte possa soffrirne. Pertanto, è molto importante identificare efficacemente e tempestivamente le crepe della struttura del ponte e fornire informazioni efficaci ai progettisti strutturali.

L’uso dei droni per la sorveglianza delle infrastrutture è solo agli inizi, ma potrebbe rappresentare una soluzione efficace, sia per completezza di rappresentazione (uso di frequenze nel visibile e all’infrarosso), sia per rapidità di monitoraggio (e quindi, anche, basso costo), sia infine per la possibilità di ricostruire l’evoluzione storica della struttura e fornire input per la previsione del suo comportamento futuro. La concatenazione certa delle informazioni attraverso l’uso della tecnologia software delle “blockchain” assicurerebbe l’integrità nel tempo delle informazioni e l’impossibilità della loro manipolazione.

Sono numerosi i progetti nel mondo che mirano a realizzare nuove infrastrutture sospese secondo i canoni “smart” ormai consolidati in molti altri settori della tecnica. Uno “Smart bridge”, realizzato con l’aggiunta in fase di progettazione di reti di sensori, renderà l’infrastruttura un sistema ciberfisico.

Diversi tipi di sensori possono fornire informazioni sull’integrità strutturale di natura differente e fra loro complementari. Si va dai misuratori di forza nella connessione tra i giunti, ai sensori a fibra ottica in grado di rilevare anche le deformazioni nelle strutture, agli accelerometri che misurano le vibrazioni. I risultati dell’analisi modale e l’elaborazione dei dati raccolti sono i dati di ingresso di un modello matematico di riferimento in grado di rilevare con largo anticipo se nel ponte intervengono cambiamenti dei modi di vibrazione (autovalori e frequenze naturali) che potrebbero essere indicativi di danni potenziali.

Il modello ciberfisico consiste nel simulare in un ambiente digitale parallelo l’evoluzione temporale della struttura sulla base dei dati raccolti e di eseguire le predizioni del suo comportamento in differenti istanti futuri, sotto diverse evoluzioni del carico e delle condizioni ambientali (ad es. incidenti, scosse telluriche, etc.) con diverso livello di probabilità anche simulando le prestazioni della struttura in relazione ai differenti interventi di manutenzione eseguibili. È come dire che si costruisce un albero delle possibilità future, assegnando ad ogni ramo dell’evoluzione un certo grado di probabilità che rappresenta un formidabile aiuto al processo decisionale per una gestione tempestiva e intelligente della manutenzione.

Nella Corea del Sud, il ponte Jindo che collega l’omonima isola con la terraferma è un esempio di sistema infrastrutturale progettato e realizzato sulla base di questi criteri. Una molteplicità di sensori wireless e microprocessori sono inseriti nella struttura per monitorarne la salute strutturale. La rete analizza costantemente fattori quali le vibrazioni, il vento e l’umidità, e segnala tempestivamente le anomalie a un computer.

Il ponte Jindo è un ponte relativamente nuovo ed è un ponte molto grande. Senz’altro le tecnologie ciberfisiche si applicano in modo naturale in una struttura che le consideri fin dalla fase di progettazione. Ma, pur con qualche limitazione, queste tecnologie si possono adattare anche a ponti e viadotti esistenti, specialmente se si fa un ampio uso delle tecnologie wireless che non richiedono interventi invasivi sulle strutture. Infatti, le reti intelligenti di sensori wireless sono molto più facili da implementare delle strutture cablate, che sono anche più costose e richiedono particolare cura a causa della necessità di posare cavi e praticare fori. Fra le principali limitazioni, si deve tenere conto che l’installazione dei sensori potrebbe essere complicata se l’interno del ponte non è accessibile o lo è difficilmente. Inoltre, nei ponti esistenti non sono noti i dati storici dei processi di traffico, carico e deterioramento, il che rende più complicata la valutazione, quanto meno fintanto che tali dati storici non saranno accumulati.

Conclusioni e raccomandazioni

Tutto questo non è fantascienza ma è già realtà in altri Paesi con grado di sviluppo confrontabile al nostro. Gli strumenti tecnologici necessari sono tutti disponibili e sono in linea con il paradigma, abbracciato anche nel nostro Paese sotto la denominazione di “Industria 4.0”. Cosa dunque occorre fare?

In primo luogo occorre convincersi che la prevenzione infrastrutturale è una nuova attività da trattarsi al pari degli oneri per la sicurezza previsti dalla normativa vigente. Ad esempio si potrebbe prevedere che ogni nuova infrastruttura e le infrastrutture interessate da interventi di manutenzione straordinaria debbano introdurre un sistema di diagnostica e prevenzione degli eventi rischiosi. Inoltre, si dovrebbe identificare un ente centralizzato che svolga il compito della supervisione sulla base di una piattaforma nazionale unificata e che, come detto sopra, dovrebbe anche gestire il necessario catasto delle infrastrutture viarie. Tutto questo potrebbe ridurre i costi delle manutenzioni e assicurare una gestione ottimizzata e sicura della rete infrastrutturale viaria del Paese.

Si potrebbe concludere con una rapida sintesi di quelle che sono alcune fra le principali attività di prevenzione raccomandabili, riassumibili come segue:

La mappatura delle infrastrutture potenzialmente a rischio attraverso un inventario a cui fare seguire un catasto informatizzato;
La formazione di esperti che utilizzino ed applichino le ICT in ottica “Industria 4.0”;
L’applicazione di tecniche urbanistiche ed architettoniche già sperimentate in relazione alla fragilità geologica del territorio in cui si opera;
L’aggiornamento della legislazione sintetizzata in una legge quadro;
La sensibilizzazione informata per una maggiore consapevolezza della popolazione presente nelle aree nelle quali insistono infrastrutture a rischio.
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1. La circolare è un supporto operativo importante per la progettazione e la realizzazione di nuove strutture e per gli interventi sulle costruzioni esistenti. Riserva molta attenzione all’affidabilità dei materiali e alla manutenzione programmata della struttura, durante la sua vita presunta, con dettagli degli adempimenti del direttore lavori. ↑
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Francesco Alessandria, Francesco Vatalaro
www.agendadigitale.eu/infrastrutture/ponti-sicuri-le-tecnologie-per-il-monitoraggio-in-tempo-reale

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