Il pacchetto digitale della Manovra economica 2019


Startup, industria 4.0, blockchain nel pacchetto "digitale" della Manovra economica per il 2019.  

Dal nuovo corposo pacchetto dedicato alle imprese innovative alla conferma di una parte degli incentivi fiscali alle imprese del piano lanciato dal precedente governo: quali sono le novità principali e il giudizio degli addetti ai lavori



Nuovi e più mirati incentivi fiscali alle aziende che investono in innovazione. Numerose misure per sostenere lo sviluppo di un vero mercato startup e venture capital in Italia. Fondi su un pugno di tecnologie innovative, come blockchain, internet delle cose e intelligenza artificiale.

C’è tanto digitale e innovazione all’interno della Legge di Bilancio 2019 (in via di approvazione anche alla Camera). Ed è una sorpresa giudicata positiva da molti esperti e associazioni confindustriali, che si erano scagliati invece con veemenza contro i limiti del precedente testo, quello uscito dal Consiglio dei Ministri.

Certo, anche dopo questo intervento restano punti da sistemare e margini di incertezza. Da una parte, bisognerà assicurare una corretta attuazione delle ultime misure; dall’altra ci sono ambiti innovativi ancora in attesa di interventi (dalla Sanità digitale, alla cyber security alla banda ultralarga). Vediamo in sintesi.

Industria 4.0

Il governo estende il piano avviato dal’ex premier Renzi: incentivi fiscali per certi acquisti innovativi da parte delle aziende nel 2019-2021.

Ci sarà ancora iperammortamento (mentre sparisce il superammortamento del precedente piano, finito nel 2018): 270% per gli investimenti fino a 2,5 milioni di euro; 200% per gli investimenti fra 2,5 e 10 milioni di euro; 150% fra i 10 e i 20 milioni; oltre i 20 milioni di euro, non è previsto incentivo; 140% per chi compra “strumenti 4.0” previsti dalla legge 232/2016 (come certi software).

In extremis, fortemente voluti dalle associazioni di Confindustria, rientrano anche il credito di imposta per gli investimenti in formazione nelle aziende (massimo 300 mila euro per le pmi e 200 mila per le grandi imprese, con un fondo di 250 milioni di euro pubblici) e gli incentivi sono estesi anche al cloud (di cui invece si dimenticava il piano Renzi).

Un’altra delle novità più apprezzate in questo piano è l’arrivo di voucher a incentivo per chi acquista consulenze in ambito 4.0: il cosiddetto “innovation manager impresa 4.0”.

Due tasselli considerati fondamentali per provare a innovare davvero le aziende. Tutte misure pensate per colmare le lacune del precedente piano, che lasciava fuori troppe pmi e non assicurava uno sviluppo capillare e uniforme dell’innovazione nel tessuto industriale italiano.

Blockchain, AI e internet delle cose

Nel maxiemendamento arrivano anche fondi per lo sviluppo di tecnologie innovative come blockchain, AI e Iot: 15 milioni di euro per ogni anno (2019-2020).

Sul valore di queste tecnologie, soprattutto blockchain, il M5S si è speso molto negli ultimi mesi, in varie misure; è stato anche sul punto di assicurare un forte valore legale alla blockchain (alla stregua di una firma autografa) nel decreto semplificazioni, ma la misura è stata stralciata all’ultimo momento.

Startup

Un grosso capitolo – come promesso da Di Maio da mesi – riguarda il sostegno a startup innovative. “Luigi di Maio (vicepremier e ministro del Mise) ha mantenuto le promesse ed è riuscito a convogliare le forze per far passare misure importanti, che rendono la Legge di Stabilità 2019 un vero ‘Innovaction Act’ italiano”, commenta Gianmarco Carnovale, analista del mercato startup e venture capital.

Tra l’altro, l’incentivo fiscale per chi investe in startup passa al 40 per cento e si costituisce il Fondo dei Fondi nazionali con cui fare leva per attirare almeno un miliardo di euro di investimenti (questo l’obiettivo dichiarato).

La leva parte da 100 milioni di euro assegnati al Mise e all’impegno dello Stato a investire in fondi venture capital (che a loro volta investono in startup) il 15 per cento dei dividendi delle partecipate statali.

Web tax

Arriva anche la tanto attesa web tax: un prelievo del 3% per le imprese con ricavi ovunque realizzati non inferiori a 750 milioni e ricavi derivanti da servizi digitali non inferiori a 5,5 milioni.

Obiettivo dichiarato, rendere aumentare le tasse in carico alle multinazionali del digitale, che spesso riescono a eluderle.

La web tax per diventare operativa richiede ancora diverse regole attuative (Mef, Mise, Agcom, Agid, Garante Privacy). Ha già però ricevuto un coro di critiche da associazioni di categoria come Confindustria Digitale, Fieg, Anitec-Assinform, Netcomm.

L’accusa è che la web tax, così com’è pensata, sarà un boomerang per l’Italia: potrebbe danneggiare lo sviluppo digitale delle imprese italiane. Unici applausi da Iab Italia (associazione della pubblicità online).

Sono 150 i milioni che lo Stato stima di incassare nel 2019 dalla web tax e 600 milioni nel biennio successivo. Risulta dalla tabella allegata alla lettera del premier Giuseppe Conte all’Ue, che quantifica l’impatto delle modifiche alla manovra.

Un bilancio

L’opinione è unanime: tutto sommato la fase di conversione parlamentare, con gli emendamenti delle commissioni competenti e il maxiemendamento del Governo di qualche giorno fa, ha fatto bene alla Legge di Stabilità su questo fronte.

Così tanto digitale è arrivato in extremis in Legge di Stabilità. Ed è stata una sorpresa, dato che le forze politiche fino a quel momento hanno comunicato molto poco su questi temi”, dice Andrea Bianchi, che si occupa in Confindustria dei temi legati a Industria 4.0 (le misure per incentivare gli investimenti aziendali in innovazione).

Il mio giudizio è positivo”, aggiunge Guido Scorza, noto avvocato esperto di digitale e membro del team per la trasformazione digitale presso la presidenza del Consiglio, che si esprime però a titolo personale. “Piace soprattutto il manager per l’innovazione e le misure su startup – aggiunge. Per i fondi sulle tecnologie innovative si può parlare per ora di buon proposito: bisognerà vedere come saranno spesi”, continua.

Il “bisognerà vedere” riguarda in realtà molti aspetti delle misure. Per esempio, parte del successo di Industria 4.0 si basa sull’alleanza tra aziende e università, di cui però ancora i “competence center” (già previsti nel piano Renzi) stentano a decollare.

E, fondi a parte, in generale bisognerà vedere se funzionerà il meccanismo per formare le aziende alle innovazioni digitali. L’obbligo alla fatturazione elettronica, che scatta per quasi tutte le aziende da gennaio, potrà fare da sprone in questo senso.

Per il resto sono ancora fuori dalle norme importanti interventi strutturali: per una nuova fase del piano banda ultra larga nazionale (non arrivano, tra gli altri, i tanto promessi incentivi all’acquisto di connessioni ultra veloci); per un coordinamento centrale della trasformazione digitale nella Scuola e nella Sanità. Due ambiti su cui – è opinione comune degli esperti – il 2018 è stato un anno perduto (per esempio: Paolo Ferri, professore alla Bicocca di Milano e Dianora Bardi, di ImparoDigitale; Mariano Corso, del Politecnico di Milano).

In generale c’è ancora molto da fare per la pubblica amministrazione digitale, dove è atteso nei prossimi giorni il nuovo piano ICT per la PA (ci lavora Teresa Alvaro, dg di Agid). E dove si attende ancora di capire il futuro di alcuni grandi progetti, come Spid (l’identità digitale) in rapporto alla Carta di identità digitale e la razionalizzazione dei datacenter pubblici; il domicilio digitale.

L’ultima novità in questo ambito è l’istituzione di una società per azioni pubblica per fare i pagamenti elettronici alla PA: novità dirompente, i cui esiti sono ancora tutti da valutare.

Alessandro Longo, www.repubblica.it/economia/2018/12/28/news/manovra_digitale-215190078

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