Trasformazione digitale, l’Italia fa progressi
Quasi la metà delle aziende italiane ha implementato con successo progetti di innovazione tecnologia, ma la strada da fare è ancora molto lunga. Le aziende più grandi sono molto avanti, mentre Mentre le piccole e medie imprese, che rappresentano però una parte fondamentale del mercato italiano, si trovano in grande difficoltà”. Un ruolo centrale hanno le risorse umane e la collaborazione fra persone che conoscono i processi interni dell’azienda e persone con forti competenze digitali e tecnologiche, spesso esterne all’impresa.
La trasformazione digitale delle aziende italiane, che consentirà loro di affrontare al meglio le sfide del futuro, mostra ancora il cartello “lavori in corso”.
Nonostante questo, ci sono chiari segnali di progressi: secondo quanto riportato nel report Digital Transformation PACT messo a punto da Fujitsu – condotto su un campione di 150 aziende italiane rappresentative di tutti i settori industriali – il 49% delle imprese ha già ottenuto risultati significativi in termini di trasformazione digitale, mentre il 25% sta attualmente implementando progetti i cui risultati non sono però ancora noti.
“Nel nostro report abbiamo riscontrato un’importante dicotomia”, spiega il presidente e AD di Fujitsu Italia, Bruno Sirletti. “Grandi aziende come FCA, Eni o Intesa Sanpaolo sono molto avanti su questo percorso, spesso più avanti dei loro concorrenti esteri. Mentre le piccole e medie imprese, che rappresentano però una parte fondamentale del mercato italiano, si trovano in grande difficoltà”.
Una difficoltà che si riflette anche nel numero di progetti di trasformazione digitale che non vanno per il verso giusto: il 27% delle organizzazioni italiane ha annullato i progetti innovativi messi in cantiere (un numero comunque inferiore al 33% della media globale), con un perdita economica media pari a 455mila euro; mentre il 21% dei progetti digitali viene dichiarato fallito nonostante un costo medio di 559mila euro.
“Questo avviene, secondo la mia esperienza, quando si vuole utilizzare la tecnologia per risolvere un problema che magari non esiste nemmeno”, prosegue Sirletti. “Si cerca di inserire un po’ di intelligenza artificiale, un po’ di internet of things, ma senza una vera strategia.
La riflessione deve invece partire dall’alto: in che modo un’azienda può sfruttare il digitale per diventare più produttiva?
Una volta capito qual è il problema, si passa alla fase che chiamiamo di co-creazione, in cui è fondamentale che collaborino persone che conoscono i processi interni dell’azienda e persone con forti competenze digitali e tecnologiche, spesso esterne all’impresa.
Solo alla fine si passa alla tecnologia vera e propria”.
Uno dei principali ostacoli è infatti proprio la carenza di competenze tecnologiche interne. Non è un caso, quindi, che per il 91% del campione sia fondamentale la formazione e la riqualificazione. Oltre un terzo delle aziende prese in esame, però, è consapevole che i corsi d’aggiornamento dei propri dipendenti non sono sufficienti e che la vera priorità sia reclutare nuovi talenti.
Una missione non facile, soprattutto in un settore cruciale come quello dell’intelligenza artificiale: “È la tecnologia in cui forse abbiamo i più grossi problemi di competenze. E non solo in Italia: se escludiamo Stati Uniti, Giappone e forse Cina, in tutto il resto del mondo – comprese nazioni come Francia o Germania – non esiste ancora la formazione necessaria nel campo dell’intelligenza artificiale”, spiega ancora l’AD di Fujitsu Italia.
Il problema, però, si estende anche ad altre tecnologie: cloud, cybersecurity, analytics. “Non creiamo abbastanza talenti di questo tipo ed è fondamentale invertire la rotta”, prosegue Sirletti. “Abbiamo bisogno di più laureati in settori come ingegneria, matematica, scienza e tecnologia ed fondamentale che le aziende investano sempre di più nella formazione, anche a lungo termine”.
In un tessuto industriale dominato dalle pmi come il nostro, si tende forse a sottovalutare l’impatto delle nuove tecnologie. In verità, ci sono enormi potenzialità anche in settori cruciali per l’Italia, come la manifattura o l’industria alimentare: “Le aziende alimentari, per esempio, possono usare la tecnologia per risolvere il problema della tracciabilità”, conclude l’amministratore delegato. “Nel momento in cui qualcosa va storto, come può essere nel caso di un intossicazione, è fondamentale scoprire in tempi rapidissimi da dove vengono gli ingredienti, quando è stato preparato il prodotto e tutto ciò che serve a capire e spiegare cos’è successo. Per riuscire in questo, è fondamentale usare al meglio le tecnologie di monitoraggio e tracciabilità”.
Un esempio che spiega perché la priorità vada sempre data all’analisi dei problemi e come risolverli, e solo in seguito alla scelta della tecnologia più adatta. “Molto spesso, invece, si lavora al contrario e si parte dalla tecnologia senza aver prima svolto la fase di analisi. Ed è proprio in questi casi che i progetti falliscono”.
Andrea Daniele Signorelli,
www.lastampa.it/2018/01/29/tecnologia/trasformazione-digitale-litalia-fa-progressi-aZD6FfXzqi7jHe5bTSAkcI/pagina.html
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